All About
Jazz
April 1999
By Luigi Santosuosso
Lo spirito
degli avi
A colloquio con Randy Weston professore onorario ad Harvard
"Dico sempre alla
gente: "La musica è un linguaggio."
Anzi è il linguaggio più importante.
La musica ha il potere di guarire, di pacificare."
Randy Weston
Ogni anno, la facoltà di musica dell'università di Harvard, dedica parte
del suo calendario accademico all'analisi ed all'approfondimento della
musica di uno dei grandi maestri del jazz. Grazie a questo programma,
musicisti del calibro di Bill Evans, Gerry Mulligan, Lester Bowie, Steve
Lacy, Illinois Jacquet, Lee Konitz, Andrew Hill, John Lewis, Benny Carter,
Clark Terry, Steve Swallow, Carla Bley si sono succeduti nelle aule della
prestigiosa università statunitense.
I musicisti in questione vengono nominati per un semestre "artist in
residence" e sono quindi chiamati ad insegnare agli studenti come normali
membri del corpo accademico. La collaborazione viene sugellata nel mese di
aprile da un "saggio di fine anno" nel quale l'orchestra di jazz
dell'università tiene un concerto con l'organico impreziosito dal
prestigioso ospite, le cui musiche ed arrangiamenti vengono suonate con un
misto di entusiasmo giovanile e consumata professionalità.
Non si pensi, infatti, ad un concerto dilettantesco. Il luogo preposto a
questo rito primaverile è il suggestivo Sanders Theatre, uno dei teatri
più antichi degli Stati Uniti situato al centro del campus universitario
di Cambridge (il teatro era originariamente utilizzato per lezioni
universitarie e cerimonie di laurea), e i componenti dell'orchestra sono
giovani musicisti di grandissimo livello. Sotto la direzione di Tom
Everett, Joshua Redman, Anton Schwartz o Don Braden sono solo alcuni dei
musicisti che, negli ultimi anni, hanno affinato la propria musica nelle
file della Harvard Jazz Band.
Quest'anno l'invitato d'onore era Randy Weston, uno dei pochi personaggi,
insieme Lionel Hampton, Sonny Rollins, Max Roach, Benny Carter, a
rappresentare una testimonianza vivente degli anni leggendari del jazz.
Nato a Brooklyn il 6 aprile 1926, Weston si trovò immerso sin dall'inizio
in un ambiente - sia familiare che sociale - profondamente musicale.
Brooklyn in quegli anni era un vero e proprio villaggio musicale che
Weston ha rievocato in "African Village/Bedford-Stuyvesant" inciso in due
parti sull'album Spirits of Our Ancestors.
RW: La musica mi è stata intorno sin
dall'inizio. L'intero vicinato... tutta la zona in cui vivevo era
completamente immersa nella musica. Non solo la mia famiglia, ma pure i
vicini della porta accanto e quelli della porta dopo... Tra ragazzi ci si
incontrava e si parlava di musica. Era una cosa naturale. Per questo non
posso dirti quale sia il mio primo ricordo riguardante la musica. Sono
stato circondato dalla musica sin dall'inizio.
Erano gli anni in cui il jazz cresceva e si
trasformava e questa musica entrò rapidamente nel cuore di Randy Weston,
che era interessato ad ogni forma musicale dal gospel al blues e alla
musica caraibica.
RW: Credo che il primo disco che ho comprato
in vita mia sia stato Body and Soul di Coleman Hawkins. Devo aver avuto
più o meno 13 anni.
Mi piaceva così tanto che ne comprai tre copie.
Ovviamente ho amato tantissimi altri dischi ma quello è l'album per il
quale ancora oggi provo un'affezione particolare.
Il jazz non poteva non avere un impatto così
forte sul giovane Weston visti i personaggi che vivevano nel giro di pochi
isolati dalla sua casa: Thelonious Monk, Max Roach, Eddie Heywood, Cecil
Payne, Duke Jordan, senza dimenticare Wynton Kelly, suo cugino.
L'influenza di Monk, comunque, fu la più importante.
RW: Monk riportò la magia nella musica. Direi
che Ellington e Monk sono i miei musicisti preferiti. Erano capaci di
catturare il vero suono del pianoforte. Monk, poi è stato un compositore
eccezionale: i suoi brani, le sue armonie, il suo senso del ritmo, i suoi
silenzi erano magnifici. Si può dire che Monk concepisse il pianoforte
come una orchestra. Quando lui suonava uno poteva immaginare, sognare...
era un grande narratore. Monk è stato un importantissimo innovatore, ma -
allo stesso tempo - era possibile percepire la tradizione blues sulla
quale si sviluppava la sua musica.
Anche dal punto di vista umano era una persona completamente originale.
Era chiaramente in anticipo sui tempi, ma questo accade a tutti i grandi
artisti. Per lo meno, ha avuto la fortuna di vivere abbastanza a lungo per
vedere come la sua musica sia stata apprezzata, seppur in ritardo. Molti
artisti, purtroppo, non sono altrettanto fortunati.
Senza volermi paragonare minimamente a Monk, quando negli anni '50 ho
iniziato ad esplorare le radici africane del jazz la maggior parte delle
gente non capiva che cosa stessi facendo. Trenta o quaranta anni più
tardi, le cose sono cambiate.
Thelonious Monk è stato un esempio per me.
Il legame con Monk, comunque, andava al di là del
rapporto musicale. Il giovane Weston era ospite fisso a casa di Monk, dove
veniva introdotto ai segreti del pianoforte da quello che, insieme a Bill
Evans, è forse stato l'innovatore di questo strumento con il maggiore
impatto sul jazz di oggi. In quelle lunghe ore Weston imparò a prendere
esempio da Monk anche e soprattutto come maestro di valori e stile di vita
oltre che di integrità artistica.
RW: Sono sempre stato colpito dal suo grande senso di dignità. C'è
stato un periodo in cui per circa sei anni non ha avuto lavoro, ma ha
continuato a suonare la sua musica ...lo stesso vale per Ellington... non
hanno mai fatto compromessi sulla loro musica. Hanno continuato a suonare
quello che sentivano fino alla loro morte. Anche quando non aveva soldi né
lavoro, Monk non si lamentava mai, non ha mai chiesto l'elemosina a
nessuno. Lo ammiravo veramente. Ogni volta che ero
a casa sua il suo comportamento era sempre molto dignitoso, vestiva sempre
in maniera elegante, immacolata direi.
I musicisti di quel periodo non erano spirituali solo nella loro musica,
ma anche nel modo in cui si comportavano ed apparivano. I musicisti di
quei giorni, inoltre, erano molto aperti. Monk ti
insegnava tutto quello che sapeva. Potevo andare a casa sua in ogni
momento e la sua porta era
aperta.
Lo stesso valeva per Max Roach. Amavano essere circondati da chi era più
giovane di loro. Questo
è quello che per me significa spiritualità.
Sul finire degli anni '60, con la montante moda degli strumenti
elettrificati e la conseguente difficoltà di sopravvivere continuando a
suonare jazz acustico tradizionale, Weston decise di trasferirsi in
Africa, che aveva già avuto modo di visitare nel 1961 in un tour
finanziato dal dipartimento di stato americano. Uno degli aspetti
principali di questa parentesi di circa sei anni, è stata proprio la
riscoperta del lato più spirituale della musica, che si riflette nel suo
ruolo sociale e nel forte legame con la natura, sempre meno presente
secondo il pianista di Brooklyn nella musica di oggi.
RW: Oggi manca la spiritualità della musica,
qualcosa che non ti possono insegnare nei conservatori dove tutto quello
che puoi apprendere sono solo le note, le scale, gli stili e le tecniche.
Quando io ero ragazzo, invece, la musica rappresentava una esperienza
spirituale. Ovviamente i grandi maestri del passato non sono più con noi,
ma abbiamo le registrazioni dei loro lavori e questo è il motivo per il
quale io incoraggio sempre i più giovani a studiare quella musica. È
importante scoprire i collegamenti tra il presente ed il passato. Se i
giovani ci riusciranno avranno un senso della direzione migliore, non
dimenticheranno le emozioni, l'amore, la famiglia e la gente in generale.
In Africa quando dici che la tua professione è quella di musicista la
gente resta sorpresa. La musica è così cruciale per ogni aspetto della
vita di tutti i giorni che ogni persona, nelle società tradizionali
africane, è musicista. Inoltre in Africa uno può riscoprire il valore
della improvvisazione; è più evidente come la musica sia la voce di madre
natura. E Madre Natura improvvisa di continuo. Oggi è diverso da ieri e
domani non sarà come oggi. Gli africani sanno bene tutto ciò, bisogna
sempre essere in sintonia con madre natura.
Da diversi anni Weston sta dedicando le sue
esplorazioni musicali proprio alla musica dei grandi jazzisti del passato
(da segnalare in particolare la trilogia Portrait of Duke Ellington,
Portrait of Monk e The Spirit of Our Ancestors pubblicata dalla Verve tra
il 1989 e il 1991). Questa sua riscoperta del passato rappresenta, allo
stesso tempo, il suo personale omaggio ai maestri che lo hanno segnato e
il suo modo di concepire la missione di artista.
RW: In Africa i musicisti sono anche storici: attraverso la musica
che suonano raccontano la storia della loro gente. Allo stesso modo io
cerco di non essere solo un musicista. Voglio celebrare i nostri antenati,
che troppo spesso sono dimenticati dalla gente di oggi che è troppo
concentrata sul presente e sul futuro. Cerco di fare esattamente quello
che Ellington faceva negli anni '20: raccontare della nostra gente
attraverso la nostra musica.
Voglio che la gente - quando ascolta quello che suono - pensi a Duke
Ellington, Monk, Dizzy Gillespie, Count Basie... (mi piace pensare che se
fossero vivi per ascoltare la mia musica ne sarebbero orgogliosi). Questo
è quello che voglio comunicare perché sono sempre stato un appassionato di
musica anche prima di diventare musicista. Ho sempre combattuto per la
musica, mi sono sempre amareggiato quando vedevo in quali condizioni i
musicisti erano spesso costretti a vivere. La musica è il mio lavoro ed è
un dono che mi è stato dato da dio. Forse qualcuno penserà che questa
musica è vecchia, ma dobbiamo conservare il massimo rispetto per chi è
venuto prima di noi: sono loro che hanno avuto il coraggio, la
perseveranza ed il genio per creare questa musica incredibile.
AAJ: La mancanza di spiritualità della quale
lei parla deriva forse dall'attenzione quasi completa dedicata dal sistema
educativo musicale verso la tecnica piuttosto che verso le emozioni?
RW: Esatto. Ma è proprio questa la ragione
per la quale è molto importante portare nelle scuole artisti e musicisti;
questo è il motivo per cui è fondamentale insegnare la storia di questa
musica nelle classi. Oggi possiamo beneficiare dei grandi progressi della
scienza: possiamo acquistare CD con la musica degli anni '20 e '30 e
possiamo studiarla in maniera seria, come le altre forme d'arte. Tuttavia
non dobbiamo limitarci a studiare note, accordi e stili musicali; è
necessario analizzare in che modo vivevano i musicisti afroamericani in
quei giorni: la segregazione, il razzismo che li circondava.
Dobbiamo capire come questa musica fosse per loro un mezzo di
sopravvivenza. Non era solo musica, era cultura. Oggi la gente sembra
averlo dimenticato. Molti affermano di amare il jazz ma non ne conoscono
la storia. Dobbiamo ricordare, invece, che questa storia è stata modellata
dalle battaglie e dalle sofferenze della gente, è il risultato di
sacrifici tremendi ma anche di una grandissima dignità e dell'orgoglio di
persone che componevano capolavori come quelli che conosciamo e - tuttavia
- non potevano dormire negli alberghi, non potevano salire sui treni...
Nonostante il jazz sia nato e si sia sviluppato
negli Stati Uniti, paradossalmente molti jazzisti americani si sono dovuti
trasferire in Europa o Giappone per poter sopravvivere o semplicemente per
ottenere un contratto discografico. Negli scorsi decenni molti fra i
musicisti che stavano scrivendo le pagine della storia del jazz sono stati
accolti in Europa come veri e propri messia: si possono ricordare a titolo
di esempio Bud Powell, Dexter Gordon, Ben Webster, Chet Baker. In effetti
è una cosa che lascia molto perplessi che gli Stati Uniti non abbiano dato
maggiori riconoscimenti ai rappresentanti di quello che rappresenta uno
dei pochi contributi originali che quel paese ha dato al mondo dell'arte.
RW: Il fatto è che il jazz deriva dalla cultura africana. I nostri
antenati arrivarono qui in schiavitù. Per molti è ancora difficile
accettare che i discendenti di quegli schiavi oggi creino musica.
Questo sentimento è ancora così forte perché noi neri siamo una
percentuale molto piccola della popolazione totale, ma questa musica è
così forte, così potente e vera, che risulta ancora più duro ammettere che
sia stata creata da quella stessa gente che era stata portata qui in
catene. È questa la ragione, non ci sono dubbi al proposito.
Non solo noi, anche maestri come Duke Ellington sono dovuti andare in
Europa per essere accettati... lo stesso dovettero fare Coleman Hawkins o
Billie Hollyday... La tradizione della nostra musica dimostra come essa
sia stata accettata all'estero in maniera migliore che negli Stati Uniti.
Certo oggi la condizione dei jazzisti di colore è
migliorata. La segregazione, almeno dal punto di vista legale, è stata
abolita e la vita generalmente è più facile. Secondo Weston, tuttavia, il
jazz non ha ancora ricevuto il dovuto riconoscimento nel paese nel quale è
nato.
RW: La situazione non è cambiata un gran che né nei media né nelle
scuole. Potremo ritenere che le cose saranno cambiate, quando vedremo i
grandi jazzisti trasmessi alle otto di sera del sabato dai principali
canali televisivi, quando vedremo l'insegnamento del jazz nelle scuole,
quando Hollywood dedicherà film alla vita dei grandi maestri del jazz.
Finché tutto ciò non si verificherà non credo che potremo parlare di veri
cambiamenti. Viviamo in una società tecnologica nella quale la gente viene
influenzata da quello che vede, e purtroppo non si vede molto jazz alla
televisione (o lo si vede molto tardi, su canali di secondaria
importanza); lo stesso vale per il mondo della scuola.
Sono sicuro che prima o poi tutto questo cambierà. Sono convinto che non
sia possibile nascondere per sempre qualcosa di così bello come la musica.
Del resto, ci sono così tanti grandi musicisti afroamericani. Non possono
aprire i media a noi altrimenti finiremmo per dominarli. Pensa solo a
Ellington, Monk, Basie, Nat King Cole ....
Tuttavia, se uno guarda al passato di questa
musica, si rende conto di come alle origini fosse una musica estremamente
popolare, era la musica che la gente amava ballare. Ad un certo punto,
tuttavia, il jazz è diventato estremamente tecnico ed ha cominciato a
perdere in popolarità. Weston, nella sua lunga carriera, ha assistito a
questi alti e bassi di popolarità.
RW: Poco dopo l'inizio della seconda guerra mondiale il governo
applicò una tassa del 20% sui locali da ballo nel quadro di misure fiscali
adottate per sostenere lo sforzo bellico. Molti locali furono costretti a
chiudere i battenti e la musica jazz si trasformò da musica da ballo in
musica da ascolto.
Da ragazzi suonavamo spesso nei locali da ballo; agli afroamericani, come
del resto a tutti, piace moltissimo ballare. Ovviamente si trattava di una
forma espressiva completamente diversa da quella di un concerto. Dovevi
saper esprimere delle emozioni attraverso il tuo strumento - questa è una
cosa che si è quasi del tutto perduta al giorno d'oggi: oggi i musicisti
sono interessati più alla tecnica che ad altro ... chi sa suonare più
velocemente e cose del genere. In passato, invece, dovevi saper comunicare
emozioni, dovevi suonare per una donna ed essere capace di farla
emozionare. Nella musica di tutti i nostri predecessori, Ellington,
Armstrong, Webster, c'era una grande componente di romanticismo che oggi,
invece, è andata quasi del tutto perduta.
Spinto dal padre a scoprire e valorizzare le
proprie origini, e sviluppando una delle principali lezioni di Duke
Ellington (si pensi, giusto per fare un esempio, alla celeberrima
"Caravan") Weston è stato un pioniere della fusione tra jazz e musica
africana. Il suo Uhuru Africa pubblicato nel 1960, molti anni prima che la
world music diventasse di moda, è solo il più famoso, e forse il più
riuscito dei suoi esperimenti con la musica afro-caraibica. La discografia
di Weston, difatti, è ricca di incisioni che mettono in evidenza ritmi e
influenze africane. Nel 1957 Weston aveva già pubblicato Bantu per la
Roulette seguito l'anno dopo da Little Niles per l'etichetta United
Artists; da segnalare anche African Cookbook recentemente ristampato dalla
Koch Jazz e - nella discografia degli ultimi anni - due dischi della
Verve, Splendid Master Gnawa Musicians of Morocco e Marrakech in the Cool
of the Evening, dedicati al Marocco dove Weston ha trascorso diversi anni
della sua vita.
L'Africa, in effetti, ha rappresentato per anni una fonte di interesse per
Weston ed era quindi inevitabile che si recasse in Africa. L'attrazione
per l'Africa tuttavia non era esclusivamente musicale.
RW: La prima volta che ho ascoltato musica africana è stato mentre
ero ancora negli Stati Uniti grazie ad un grande percussionista della
Guinea. Sono andato in Africa perché mi affascinava moltissimo, ma non
c'era una particolare ragione musicale che mi spingesse.
Per ogni musicista, comunque, le esperienze di
vita si intrecciano inevitabilmente con quelle musicali. Weston, inoltre,
durante la sua permanenza in Marocco gestì un bar nel quale si suonava
ogni notte dal vivo e quindi le occasioni di mettere a confronto le
musiche locali e le radici jazz si sprecavano. I successi di Weston, già
molto affermato, si allargarono all'Africa.
RW: Direi che l'accoglienza era piuttosto positiva. Avevo già
composto "Uhuru Africa" e stavo già usando ritmi come il 6/8, sai, ritmi
tipicamente africani. Sono sempre stato molto attratto dalle percussioni
ed in particolare dalle conga. A volte uso il piano come uno strumento
percussivo.
Ricordo ancora la prima volta che suonai in Nigeria. Ebbi una accoglienza
trionfale, fu una esperienza bellissima.
La popolarità di Weston, tuttavia, si estende ben
al di là dei confini nordamericani, africani o europei. L'opportunità di
poter suonare continuamente in giro per il mondo permette ai musicisti che
hanno questo privilegio di apprezzare in maniera più completa
l'universalità del linguaggio musicale.
RW: La musica è il primo linguaggio che l'uomo impara. Molte
persone non se ne rendono conto. La musica è un linguaggio universale, un
linguaggio che tutti noi possiamo capire. Se uno parla in inglese,
spagnolo o italiano può comunicare solo con le persone che conoscono
quelle lingue. Per la verità, certe volte, si ha difficoltà a capire
persino le persone che parlano la nostra stessa lingua: capisci cosa
dicono ma non quello che intendono.
Con la musica, invece, puoi andare ovunque nel mondo e riuscire a
comunicare. È per questa ragione che la musica costituisce una forma
d'arte sacra. La musica è la regina di tutte le forme d'arte. È proprio in
questo modo che io concepisco la musica. Dico sempre alla gente: "Questo è
un linguaggio." Anzi è il linguaggio più importante. La musica ha il
potere di guarire, di pacificare.
Ho viaggiato in Africa, in Europa, in Medio Oriente, in Sud America, in
Asia ... in tantissimi luoghi ... e la musica è il linguaggio attraverso
il quale la gente mi conosce e, grazie ad essa, ho fatto tante amicizie,
in ogni angolo del mondo."
Durante la sua permanenza accademica ad Harvard,
Randy Weston ha voluto concentrare l'attenzione sugli arrangiamenti delle
sue musiche preparate dalla compagna Melba Liston. Una delle pochissime
donne ad essersi imposta nel mondo del jazz non come cantante ma come
strumentista, suonando uno strumento ancora oggi molto popolare tra le
musiciste, il trombone. Unica donna ad aver suonato nei gruppi di Gerald
Wilson, Dizzy Gillespie e Quincy Jones spesso e volentieri agiva anche da
arrangiatrice per i gruppi nei quali suonava. Probabilmente perché
amareggiata dalle delusioni inflittele da un mondo musicale che ha
colpevolmente sottovalutato le sue grandi doti musicali, la Liston decise
di dedicarsi al cinema (la si può notare nel polpettone hollywoodiano I
dieci comandamenti).
Poco dopo, tuttavia, l'amore per la musica ebbe il sopravvento e la Liston
tornò al jazz unendosi al gruppo di Dizzy Gillespie. Fu proprio in seno a
questo gruppo che Randy Weston la incontrò per la prima volta al
leggendario Birdland. Il gruppo di Gillespie proprio quella sera stava
eseguendo un arrangiamento della Liston di un brano di Randy Weston.
L'incontro non poteva accadere in una circostanza migliore.
RW: Grazie a Melba Liston sono stato capace di dare il meglio di me
stesso dal punto di vista musicale. Fra di noi c'era una intesa magica. È
difficile spiegare come e perché, ma era così. Forse perché era una donna
e quindi aveva una sensibilità più spiccata, poteva scrivere un
arrangiamento oppure comporre un pezzo per me... e quando lo suonavi
sembrava che l'avessi scritto io...
Melba Liston ha composto gli arrangiamenti per il
concerto di Randy Weston con la Harvard Jazz Band con l'ausilio di un
computer dal letto sul quale ha trascorso l'ultima parte della sua vita a
causa di un grave incidente che l'ha immobilizzata. Uno dei momenti più
toccanti del concerto è stato proprio quello nel quale il gruppo ha
interrotto il concerto per salutare la Liston attraverso le telecamere che
stavano riprendendo l'evento. La Liston sarebbe morta poche settimane più
tardi.
Il concerto ha avuto una grande riuscita. La Harvard Jazz Band ha suonato
in maniera fresca e convincente mettendo in risalto alcuni promettenti
musicisti come la pianista Annie Durston (esibitasi in un accattivante
assolo-sfida con il maestro Weston) e Elizabeth Dotson-Westphalen, una
trombonista che rendeva l'omaggio a Melba Liston ancora più riuscito.
Weston ed i due componenti del suo trio, l'ottimo sassofonista Talib Kibwe ed il percussionista Neil Clarke, si sono uniti alla giovane orchestra con
l'entusiasmo e la simpatia dei fratelli maggiori.
Era impossibile, tuttavia, non riflettere sul fatto che la musica di Randy
Weston fosse interpretata da una orchestra con un solo musicista di colore
in un teatro che conserva intatte vestigia del passato coloniale e
segregazionista... ma forse la grandezza di Randy Weston sta proprio nella
sua capacità di far comunicare mondi e culture diversi, al di là di ogni
differenza di colore, razza o cultura.
Reprinted with permission Copyright (c) 2006
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